La manutenzione

Ok, avevo stretto un patto con il mio nuovo, bizzarro amico Parky. Ma non potevo fermarmi lì. 

E quindi, la domanda successiva sorse spontanea: "E adesso? Cosa faccio?".

Ci ho rimuginato sopra per un giorno intero, cercando la parola giusta, il concetto che potesse racchiudere la mia nuova strategia di vita. 

Poi, all'improvviso, l'illuminazione: Manutenzione

Dovevo diventare il miglior manutentore di me stesso.

Cosa significava per me questa parola? Significava implementare un controllo costante e attento su ogni aspetto del mio essere: il corpo, la mente e l'anima. Significava imparare ad ascoltarmi e, di conseguenza, porre in atto l'insieme dei lavori di riparazione necessari ad assicurare il funzionamento e il buono stato di conservazione di tutte le mie facoltà.

L'idea della "riparazione" mi è stata suggerita, quasi involontariamente, dal neurologo che mi segue (un medico non solo bravissimo, ma dotato di una rara e profonda empatia). Mi spiegò che nel momento in cui una persona avverte un problema, fisico o mentale che sia, non deve aspettare. Deve cogliere subito l'attimo, ascoltare quel segnale e attivarsi per riportare tutto in ordine, per quanto possibile. 

È un approccio proattivo, un invito a non subire passivamente gli eventi, ma a diventare protagonisti della propria salute.

Con il tempo, ho allargato e personalizzato questo concetto. 

La mia "Manutenzione" non significa solo "rimettere in sesto" le facoltà personali quando qualcosa non va. Significa anche, e forse soprattutto, proteggersi da ulteriori problemi.

Quindi, la Manutenzione per me ha un doppio, fondamentale significato:

  1. Riparare: intervenire attivamente per recuperare uno stato fisico e mentale che la malattia ha danneggiato o indebolito.
  2. Prevenire: predisporre tutte le protezioni, le abitudini e le strategie necessarie per schermarsi da futuri attacchi e continuare a vivere in modo non solo decente, ma pieno e soddisfacente.
Mi sentivo pronto, carico di questa nuova consapevolezza. La teoria era chiara, la missione definita. 

Ma rimaneva un'ultima, cruciale domanda, questa volta non più sul "perché", ma sul "come":"Ok, ero pronto. Ma, in pratica, cosa dovevo fare?"

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