L'accettazione
Davanti allo specchio, in quell'istante cruciale, la risposta alla domanda che mi bruciava dentro fu un grido liberatorio, un'affermazione senza esitazioni: "Voglio vivere!".
E non una sopravvivenza mesta e rassegnata, no. Volevo vivere al meglio possibile, coniugando leggerezza e una rinnovata voglia di divertirmi.
Volevo una vita piena, ricca di esperienze, di gioia, nonostante le difficoltà che il Parkinson mi avrebbe inevitabilmente presentato.
La prima, fondamentale cosa che feci fu abbassare tutti gli schermi, abbattere le armature di autodifesa e di falsa invulnerabilità che mi ero costruito nella mia "vita precedente", quella prima della diagnosi.
Questo significò per me una svolta radicale: non avrei più taciuto. Anche nelle situazioni più difficili, scomode o intimidatorie, avrei parlato, avrei espresso il mio pensiero, avrei risposto a tutti senza paura.
Fu una vera e propria liberazione, un modo per essere finalmente autentico, vulnerabile ma forte nella mia verità. Non più il "bravo ragazzo" che ingoiava rospi, ma un uomo che rivendicava il suo spazio e la sua voce.
La seconda cosa, forse la più sorprendente, fu quella di rendermi amico il Parkinson.
Se si considera questa malattia come un nemico implacabile, come una guaio puramente invalidante, si è perduti in partenza. Ci si ritrova incatenati alla rassegnazione, la voglia di fare qualsiasi cosa svanisce, la vita si atrofizza.
Invece, trasformando il Parkinson in "Parky" (l'abbreviazione amichevole che ho iniziato ad usare), ho scoperto un modo nuovo di relazionarmi con la mia condizione.
Con Parky, posso parlare. Posso fargli delle richieste, quasi dei piccoli patti.
"Ehi, Parky, non farmi tremare almeno per mezz'ora, devo partecipare a quella lezione di Tai Chi che mi piace tanto!".
Oppure: "Parky, per favore, smetti di far tremare la mano e il braccio sinistro, ho bisogno di dormire un po' questa notte".
Potrà sembrare folle, ma con il tempo, Parky ha iniziato a "capire" le mie richieste.
Ci ha messo un po', è vero, quasi una fase di addestramento reciproco, ma una volta che ha compreso la mia determinazione, devo dire che mi ha quasi sempre obbedito.
So che potreste pensare che io sia un po' fuori di testa a scrivere queste cose, a raccontare di un dialogo immaginario con la mia malattia.
E avete assolutamente ragione!
Ma sapete una cosa?
A me non importa un bel niente di quello che pensate!
La mia priorità assoluta è stare bene io, trovare il mio equilibrio, la mia pace e la mia forza. E se per farlo devo trasformare un nemico invisibile in un compagno di viaggio un po' bizzarro, allora così sia.
Sono la mia vita, le mie regole.
